... i mestieri                                                 Cava Manara
 
 

La Pesca

Pavia, che coi suoi dintorni è stata nel passato ed è tuttora ricca d'acqua, ha tenuto sempre in grande valore le risorse ittiche del Ticino e del Po, nonchè delle acque affluenti ai fiumi stessi. Le sue particolari condizioni d'ambiente sono quanto di meglio si possa desiderare sia dai pescatori dilettanti sia da quelli di professione. Inoltre, qui si fa ogni anno abbondantissima la pesca delle rane che, in risaia ed in palude trovano gli elementi ideali ed essenziali per vivere e riprodursi su larga scala. I sistemi di pesca si può dire che non abbiano molto progredito in questi ultimi anni, anzi sarebbe augurabile che fossero rimasti quelli dei secoli scorsi, dato che l'unica novità introdotta dai pescatori di frodo, è quella degli esplosivi, sistema vandalico e condannevole, che qualora non fosse severamente represso, porterebbe alla distruzione quasi completa del patrimonio ittiologico. Dai sistemi primordiali del tanà (frugare con le mani nella melma (nita) dei fossi e degli stagni), o del sügà o sculà (asciugare un tratto di fossato dopo averlo arginato con delle chiuse di terra), si passa alla sendelìna (lenza portante nell'amo come esca un verme, o un pesciolino o una rana o una ciliegia o delle pallottole di pasta appositamente preparate) cercando di indovinare i gusti dei pesci dei quali si tenta la cattura. Una pesca su questo sistema è quella di aniöl che consiste nel tendere perpendicolarmente ad un corso d'acqua un filo resistente al quale sono attaccate parecchie lenze pescanti nell'acqua. Questo tipo di pesca risulta più redditizio durante la notte, e serve particolarmente per le anguille. Altro sistema di pesca con l'amo (anisö) è quello della tirlindàna che si pratica dalla barca, di solito da due persone delle quali una deve coi remi imprimere l’avanzamento allo scafo, mentre l'altra, seduta a poppa, trascina a strappi la lenza alla quale sono attaccati scudetti lucenti e suscettibili di girare su sé stessi, e terminanti con l'amo. Ogni strappata alla lenza provoca il vorticoso rigirarsi degli scudetti che, assumendo l'aspetto di argentei pesciolini in fuga, attirano l'attenzione e la cupidigia dei pesci più grossi, i quali abboccando voracemente si prestano all'insidia loro tesa. Una pesca difficile, nella quale pochi eccellono, è quella con la fiocina (sfròsla) ove, occorre occhio buono, braccio lesto e spirito calcolatore perché basta una frazione di tempo infinitamente piccola a rendere proficuo o meno il colpo. Anche qui il pescatore sta generalmente sopra una barca la quale dovrà essere condotta dal rematore. Sistemi di pesca con la rete sono: balansa e balanséi (bilancia o bilancino) dove una rete di forma quadrata avente lato da metri uno a due, tenuta tesa diagonalmente da due armature ad arco, viene sospesa all'estremità di una pertica. Si immerge la rete nell'acqua e la si risolleva quando si crede che contenga della preda, sistema divertente se non risultasse il più delle volte innocuo per i pesci. Altro tipo di rete è quella a strascico di cui quella di dimensioni maggiori viene chiamata gurmòn ed è provvista di piombi e sugheri ai bordi perchè risulti tesa nell'acqua. Parecchie barche vengono usate per deporre questa rete e quando viene tirata a riva, i pescatori rimasti sulle barche battono grandi colpi di remo sull'acqua in giro alla rete stessa per impedire che i pesci sfuggano alla cattura. Sistema comunissimo di pesca è quello del bertovello (baltravé), il quale è costituito da una rete lunga a forma di diversi coni, contenuti in una unica rete altrettanto lunga e di forma cilindrica. La rete che forma l'involucro esterno è chiusa ad una estremità in modo che i pesci una volta oltrepassato il primo cono in cerca di una via d'uscita, finiscono nei successivi ed infine nella sacca terminale, ormai condannati. Anche questo sistema di pesca funziona meglio durante la notte. Contrariamente al baltravé che viene disposto in senso longitudinale rispetta il corso d'acqua, il tramaglio (tramàg o tramagin), è una rete che viene tesa in senso trasversale ed è provvista di piombi e sugheri perchè stia verticale nell'acqua stessa. Al centro di questa rete si formano delle borse, e il pesce che vi incappa non riesce più a sfuggire alla cattura. La nàsa poi (nassa) non è che una rete speciale a forma di cestello, formata al cono come le trappole per i topi. Per la pesca nei fossi viene molto usato l'argüss (retuccio), rete a mano per pesci e rane. Questa rete viene montata sopra un telaio posto all'estremità di una pertica, con essa si rade il fondo melmoso di un fosso, in modo che i pesci e le rane che incontra vi finiscono dentro. Se l'argüss è di dimensioni rilevanti, viene chiamato ariassòn. Sistema quasi analogo a quest'ultimo è quello di usare l rastlòn, un grande rastrello a denti fitti, col quale si draga il fondo fangoso di un corso d'acqua, e dopo aver deposta la mota sopra una riva, vi si cerca la pescagione. Per mantenere in vita i pesci pescati si usa introdurli in un vivaio chiamato bürc; si tratta di una cassetta di legno a forma triangolare il cui coperchio è forato, con uno sportello apribile per farvi passare i pesci, e che viene tenuta quasi costantemente nell'acqua. La pesca delle rane viene fatta in modo del tutto diverso da quella dei pesci. La massima quantità di questi batraci viene catturata di notte sulle rive e sugli argini delle risaie dove i ranè (ranaioli) si recano provvisti di un lume acceso col quale abbagliano le vittime che poi catturano con le mani deponendole in un sacchetto di tela prima, poscia in un cestino di vimini portato a tracolla. Sono così quintali e quintali di rane che ogni, notte e per diversi mesi dell'anno vengono in tal modo raccolte. In campagna le donne vanno in cerca di rane anche di giorno quando intendono provvedernene per le loro esigenze di cucina; ma s'intende che in questo caso la cattura è più aleatoria per la difficoltà di sorprendere il batrace quanto mai diffidente ed agilissimo nel porsi in salvo. Le rane possono essere pescate anche con una lenza senza amo, legando alla lenza stessa una ranocchietta piccola (ranei) od un batuffolo di bambagia. Avvicinando pian piano l'esca saltellante alla presunta vittima, il pescatore emette con la bocca una specie di gracidio in modo che il più delle volte la preda ingannata addenta l'esca e, vorace come è, non la abbandona più se non quando viene a sua volta afferrata dal pescatore. In questo caso, il pescatore sònca la preda vale a dire le spezza le gambe posteriori per impedirle di fuggire una volta deposta nel sacchetto, cosa che non è necessaria nella pesca notturna. Un ultimo sistema è quello consistente nel procurare di avvicinare alla vittima un amo quadruplo (ancuréi) attaccato ad una lenza sospesa ad una lunga canna, sollevando di strappo l'amo stesso, si cerca di infilarlo nel corpo della rana riposante a fior d'acqua. Si ripete con questo modo di pescare - per quanto in senso contrario - il sistema della fiocina per i pesci.