'l Gerö - Cavatore di ghiaia
« C'un ràm in spàla o l badilòn
Ad pan dü chilu par culasion »
così inizia il canto dei cavatori di ghiaia un poeta popolare pavese il quale stabilisce due
qualità indispensabili per i gerö: la forza e l'appetito.
Questi sono requisiti principali e indispensabili per essere o per diventare cavatore di ghiaia del Ticino; quei
cavatori che non si servono delle draghe escavatrici ma che arrancano rabbiosamente col badile a griglia sul fondo
del fiume, per estrarre la tanto necessaria ghiaia o la non meno necessaria sabbia silicea che molto bene si presta
a fare l'impasto di calce destinato all'intonaco nell'edilizia. Seminudi, coi loro corpi scultorei che sembrano fusi
nel bronzo, chè di tale colore li ha ridotti la torrida sferza del sole, fasci di muscoli potenti sorretti da tendini
d'acciaio, il volto ed il corpo solcati da rivoli di sudore, è veramente prodigioso il lavoro che in poche ore essi
compiono. Alzati prestissimo, si trovano sul fiume col mutaiö, (Mottaiolo, grossa barca da carico con timone laterale),
già ancorato nel punto fissato per il lavoro, prima ancora che spunti l'alba, ed incominciano, restando in piedi entro
la grossa barca a raspare il fondo del Ticino ritirando di volta in volta l'badilòn colmo di sabbia o
di ghiaia a seconda del lavoro, che poi, dopo averlo fatto sgocciolare fuori della sponda, scaricano sul fondo del battello.
E ne caricano molto del materiale, il più, possibile, lasciando alle sponde della barca pochi centimetri di vivo quel
tanto che basti per non imbarcare acqua, il che vorrebbe dire affondare senza misericordia. A carico ultimato, levate
le ancore, seguono la via della corrente verso valle - poiché il lavoro di escavazione viene fatto di preferenza fra
il ponte coperto e quello della ferrovia, ove il fiume, compiendo un'ampia voluta, deposita i banchi sabbiosi o di
ghiaia - fino alla confluenza del Naviglio che imboccheranno per risalire agli scarichi e, qualche volta, fino a Milano.
Durante il percorso sul fiume entrava in campo l'abilità del pilota:
« Ultra la forsa, tüt i gerö
Gh'an l'esperiensa dal barchirö »
Non bisogna dimenticare che si dovevano infilare gli archi del ponte vecchio che non erano molto larghi,
e che un cozzo contro un pilone avrebbe significato la certa perdita non solo del carico ma della barca stessa. Arrivati
al Naviglio, che, malgrado le conche presenta una sia pure minima pendenza, bisogna risalirlo. I gerö si sottopongono
allora al duro lavoro del traino e, muniti di tracolla, in fila indiana di due, tre, quattro od anche più uomini, attaccati
ad un lungo e resistente canapo tirano la nave che col suo carico potrà superare anche il peso di centocinquanta quintali,
mentre uno, generalmente il più anziano, rimane al timone a pilotare l'imbarcazione. Alle conche si fermano ed è interessante
osservare come il problema idraulico del dislivello da superare sia stato ingegnosamente risolto dal genio italiano.
Intanto, il sole domina e dardeggia senza pietà mentre la lenta nave risale per attraccare alla riva, nel punto scelto
per, lo scarico. Qui forse, più che altrove emerge e si manifesta l'agilità dei cavatori di ghiaia, occorrendo, per il
regolare svolgersi del lavoro di scarico oltre la forza e l'elasticità dei muscoli, un perfetto sincronismo di movimenti
fra i lavoratori che operano in coppia. Ogni coppia è provvista di resistente barella sopra la quale, senza perder tempo,
viene caricata la ghiaia o la sabbia, dopo di che, cadenzando perfettamente il passo, (perché in caso contrario la traballante
tavola funzionante da ponte fra la barca e la riva, li sbalzerebbe in acqua) ne rovesciano il contenuto nel punto scelto
a deposito. La barca si svuota mentre il cumulo s’ingrossa a vista d'occhio, e quando anche questa operazione è finita,
i gerö disormeggiata l'imbarcazione, se ne tornano al loro Ticino, magari cantando lietamente ad onta della stanchezza
prodotta dalla loro onesta fatica.
Ma bisogna vederli a tavola!
« Campion da gara pr al mutaiö
Ma peg a taula i nos gerö!»
Sono dei mangiatori formidabili, ed è comprensibile dato lo spreco d'energie fisiche che il loro lavoro
richiede; ma qualcuno eccelle sugli altri. Si ricorda con simpatia il Risuléi (ricciutello) - abbiamo già
detto come in Borgo Ticino, culla dei cavatori, il soprannome valga meglio del cognome - alto e magro da infilzare,
il quale dopo aver pranzato in casa propria, all'offerta fattagli da una famiglia di favorire, si fosse così discretamente
servito da finirsi tutto il risotto preparato per sei persone; e dopo aver divorato in men che non si dica mezz'oca arrosto,
chiedeva con estrema semplicità se non ci fosse stato altro. In una osteria ove entri una comitiva di cavatori di ghia
si può esser certi di un discreto calo nella botte del vino, specialmente se è quale deve essere. Buoni di animo e generosi,
si tramandano di generazione in generazione il mestiere e:
« Quand che l’Italia l à ciamà i fiö,
Han rispost: Pronti! tanti gerö;
E dentr'in l'acqua di fiüm, a l front,
lnsì nudand e piantand ü pont,
L'han fàt ier e l farisan incö,
L duver da prod, i nòstar gerö »