... i mestieri
Cava Manara |
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'l Curdé
Una delle lavorazioni in cui i pavesi hanno sempre eccelso, è quella della corda, industria
artigiana che risale a molti anni addietro, ed i cui prodotti furono sempre ricercatissimi, oltre che in Italia,
anche all'estero. Infatti, fino alla fine del secolo scorso, e cioè prima dell'introduzione dei cavi metallici,
gli spaghi, le cordicelle, le funi ed i cavi di fibra tessile (lino o canapa), prodotti a Pavia, venivano spediti
fino nelle lontane Americhe ove godevano buonissima e meritata reputazione. Prima che l'industria della corda
venisse trasportata nella zona attualmente chiamata Cordami, l’ sinté, o campo di lavoro, che doveva essere
lungo almeno tanto quanto era la lunghezza del cavo in lavorazione, era posto ai piedi dell'argine nel tratto fra
il borgo Ticino e la chiavica sul Gravellone, anzi esattamente tra la frazione «Cà bèla» e l «lünòn»
(un burrone oramai interrato, già esistente a destra dell'argine stesso in prossimità della chiavica).
A proposito di corde; si ricorda un particolare interessante; quando, verso la fine del 1800, fu necessario costruire
una corda di dimensioni non comuni, che doveva servire per issare fin sotto la cupola della cattedrale di Pavia una
enorme scala di ferro fatta a guisa di ponte, si dovette usare come cantiere di lavoro notturno, il piano stradale
dell'argine stesso, con conseguente sospensione del traffico carraio. Alla costruzione di questo canapo, che riuscì
un vero capolavoro del genere oltre che una rarità, contribuirono quasi tutti i cordai dell'epoca.
La tecnica seguita nella lavorazione era questa: i filatori da prima, tenendo grossi fiocchi di canapa sotto il braccio,
e l'estremità delle dita protette da una pezzuola di lana, e camminando a ritroso distendevano le fibre di canapa in
lunghissimi fili, continuamente ritorti pel girare vorticoso dei cürlàt (puleggiette con gole a guisa di
rulli), azionati alla loro volta da corde montate sopra grandi röd (ruote azionate da manovelle e funzionanti
da puleggia e volano), messe in movimento dai muscoli gagliardi di giuvnòt dàl burgh (giovani borghigiani), dei
quali il segreto era quello di mantenere costante la velocità della ruota stessa. I fili così preparati, si legavano
alle due estremità ad appositi passòn (piuoli solidamente conficcati nel terreno), avendo cura che non toccassero
il terreno ma fossero sostenuti da opportuni rastéi (sostegni a guisa di rastrelli).
Dopo averne preparato parecchie diecine, i fili stessi, preventivamente bagnati mediante un inaffiatoio, venivano strübià,
(strofinati violentemente), con una maglia intessuta a catena con dei fili di acciaio, allo scopo di ridurli a diametro
uniforme, ed una volta asciutti, con l'aiuto dla pessa (pezzuola di grosso panno o feltro), venivano lisciati
tanto da diventare dei perfetti spaghi. Questi venivano successivamente riuniti a tre o quattro per volta convenientemente attorcigliati
fra di loro dal movimento veloce dei cürlat e simmetricamente distribuiti dall'uso del zipà, (binatoio,
costituito da un legno a tronco di cono, portante tante scanalature longitudinali, quanti sono i fili che si desiderano
riunire ed attorcigliare), fino a formare delle piccole cordicelle, le quali poi, riunite ed attorcigliate fra loro a
tre o quattro per volta, dopo essere state precedentemente strübià e liscià, davano luogo a funi di discrete dimensioni
e di buona resistenza. Da ultimo, dovendo il cavo in parola servire per uso eccezionale e per resistenza grandissima,
parecchie di queste funi vennero ritorte insieme, questa volta mediante l'aiuto di enormi binatoi appositamente costruiti,
e di più ruote combinate fra di loro in sincronismo tale da mantenere uniforme il grado di torsione di ogni singolo
elemento formante il cavo in parola. Artigiani valentissimi, e pur tanto modesti, in questo campo furono per parecchie
generazioni i Ponta, i Calvi, gli Scaglioni, gli. Ingiardi ed altri. Onore alla loro memoria.
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